Massimo Zavoli Massimo Zavoli
"La mano è la finestra della mente"
(I. Kant)

Una mia testimonianza

Dal libro: Aurelio De Felice 1950. Un’avventura a Parigi, 2008.

 

Libro ADF

 

Era il 1975, ero studente al primo anno dell’ISA di Terni e frequentavo il primo anno della sezione Arte del Legno (Arte Applicata dell’Ebanisteria, dell’Intaglio e dell’Intarsio). Un giorno, verso la fine dell’anno scolastico, il direttore della scuola Aurelio De Felice scese nel laboratorio dove stavo seguendo lezione di intaglio del legno e si mise a parlare con un mio insegnante. Poco dopo mi si avvicinarono chiedendomi se volevo verniciare una base di legno a forma di “L” per una scultura. Risposi che non avevo fatto mai un lavoro di quel tipo, ma, incoraggiato dal direttore, accettai. Il mio insegnante mi indicò come si faceva e io presi il pennello, il barattolo di vernice e mi incamminai all’esterno del laboratorio dove De Felice e il mio insegnante prepararono su due cavalletti la sagoma di legno da trattare. Mi lusingava l’aver ricevuto quel compito, pur modesto, perché ero contento di partecipare a quel lavoro e anche di far bella figura con il direttore.
Passarono gli anni e giunsi a frequentare la classe quinta. Un giorno arrivò a casa una telefonata. Rispose mia madre, che subito mi chiamò dicendomi che De Felice voleva parlare con me. Incuriosito risposi alla chiamata. Naturale che fossi incuriosito, cosa poteva volere il direttore, che già da tre anni era in pensione? Aurelio De Felice mi disse se mi ricordavo di lui e, dopo aver scambiato qualche parola, mi invitò a casa sua a Torre Orsina. Andai da lui qualche giorno dopo accompagnato da mio padre. Il direttore mi fece visitare il suo studio, vidi molte sculture in legno, gessi e acqueforti e mi chiese se volevo aiutarlo per alcuni lavori che stava facendo. Avrei dovuto cambiare gli stracci alle crete per mantenerle sempre umide, sistemare un po’ di varie cose nelle stanze, insomma rendermi utile. Aveva bisogno di un aiuto e accettai. Mio padre, per buona parte dell’anno, mi accompagnò a Torre Orsina. A metà maggio, poiché si stava avvicinando il tempo dell’esame di maturità, comunicai a De Felice che a breve non sarei più andato a casa sua perché dovevo intensificare i miei studi. Il direttore un po’ si dispiacque, ma capì la mia esigenza.
Alcuni anni dopo rientrai nella Scuola come insegnante, e più precisamente all’ISA di Orvieto, e in quell’istituto incontrai Michela, la nipote di De Felice, e da lei seppi che il direttore non stava troppo bene in salute. Desiderai andarlo a trovare e ci riuscii, dopo aver preso accordi con i suoi parenti. Lo incontrai, mi chiese come mi trovavo a insegnare, ricordammo i giorni di scuola da studente per me, da direttore per lui e il periodo di quando andavo ad aiutarlo a Torre Orsina. Da quel momento spesso mi chiamava al telefono per scambiare qualche parola, anche alle ore più impensate.
Oggi insegno all’ISA di Terni e il ricordo che ho di lui è sempre vivo. Mi torna in mente il maestro intento al suo lavoro e spesso, quando spiego qualcosa ai mie alunni, ho dentro di me qualche immagine di Aurelio. Ho nel cuore il De Felice maestro che mi insegna, che mi descrive la sua opera. A volte può accadere che qualche collega, non avendo conosciuto De Felice, mi chieda di lui e allora mi viene spontaneo raccontare qualche “piccola” cosa.
Grazie Aurelio, perché l’insegnante che sono oggi lo devo anche al tuo insegnamento.

 

M. Z.